Con il Decreto Legge 4/2014 l’appena dimesso Governo Letta e l’attuale Governo Renzi cercano di salvare la tanto odiata tassa sui cellulari intervenendo a soli 20 giorni dalla decisione finale delle Sezioni Unite, dopo una kermesse giudiziaria durata oltre 7 anni. Che ha visto i giudici tributari di tutta Italia schierarsi pro o contro il balzello. A dire il vero il numero di sentenze che accertano l’illegittimità del tributo sono nettamente superiori a quelle che lo ritengono legittimo. Questo Studio ha seguito le vicende del tributo per tutto l’iter giudiziario.
Andiamo per ordine.
La tassa sulle concessioni governative (nota con l’acronimo TCG) sui telefoni cellulari ammonta ad Euro 12,91 ovvero 5,16 a seconda della tipologia dell’utente (business o privato). Sono tenuti al pagamento solamente i titolari di contratto in abbonamento; non quindi i titolari di carta prepagata (visto l’identità dei servizi parrebbe già questa un’evidente violazione dell’art. 3 della Costituzione). Ebbene la tassa dovrebbe pagarsi in cambio di un servizio svolto dallo Stato; di un controllo svolto dalla P.A.; per l’emissione di una licenza per l’esercizio di una attività. Ma in questo caso il servizio o la controprestazione non c’è. Eppure la tassa si paga.
Ed è questo quanto ha osservato la sezione tributaria della Corte di Cassazione nell’ordinanza n. 12052/13 del 17 maggio 2013 “…ritiene il Collegio che il sistema delineato dalla normativa comunitaria in materia di <apparecchi terminali di comunicazione radio> non possa essere ricondotto nell’ambito della disciplina generale prevista per <gli impianti radioelettrici> dal Dlgs 259/2003, dovendo conseguentemente escludersi una identità formale e sostanziale del potere autorizzatorio (rilascio della licenza di esercizio) attribuito al Ministero dall’art. 160 del Dlgs 259.03 in relazione alle stazioni radioelettriche” con “i poteri di omologazione e verifica di rispondenza a requisiti tecnici degli apparecchi terminali attribuito al Ministero dalla direttiva comunitaria e dal Dlgs 269.01”; ed infatti: “..nel sistema regolato dalla direttiva n. 5/1999 (trasposto nel nostro ordinamento dal Dlgs 269.01 n.d.r.) l’utente finale può acquistare sul mercato ed utilizzare liberamente l’apparecchio terminale di comunicazione senza dover richiedere ed ottenere alcuna autorizzazione da parte del Ministero”.
In sostanza, quindi, gli Ermellini, nell’Ordinanza anzidetta, che rimette alle Sezioni Unite una decisione finale sull’argomento, hanno chiarito che il Dlgs 259/03 (Codice delle Telecomunicazioni) disciplina gli impianti radioelettrici in generale, diversamente i telefoni cellulari (apparecchi terminali) sono disciplinati da un’altra norma, il Dlgs 269.01. E tale distinzione risponde anche a diversi poteri in capo allo Stato: nel primo caso se il Ministero non rilascia l’autorizzazione (licenza d’esercizio) l’impianto radioelettrico non può essere utilizzato; nella seconda ipotesi tale potere, semplicemente, non esiste. Infatti né l’acquisto, né la fabbricazione o l’immissione nel mercato o ancora la messa in servizio dei telefoni cellulari sono assoggettati ad alcun provvedimento amministrativo del Ministero.
Questo l’antefatto.
Ma a pochi giorni dall’udienza finale dinnanzi alle Sezioni Unite, tenutasi il 25 febbraio scorso e per la quale siamo in attesa dell’esito, l’uscente Governo Letta ha inserito nel Decreto Legge 4/2004 all’art. 2 co. 4 una norma di interpretazione autentica con lo scopo preciso (come indicato agli atti della relazione del relativo Disegno di Legge dall’ex Ministro dell’Economia Saccomanni) di “chiudere un contenzioso giudiziario che ove sfavorevole all’amministrazione potrebbe determinare obblighi restitutori particolarmente rilevanti”.
La “mossa” dell’Esecutivo mira quindi, attraverso una disposizione auto definitasi di “interpretazione autentica” che si caratterizza per avere efficacia retroattiva, a giustificare con effetto retroattivo il tributo tanto discusso spazzando via in un solo colpo tutti i giudizi pendenti e tutte le istanze di rimborso formulate da Enti pubblici, Società e Privati. Con buona pace, forse, anche del giudizio della Cassazione.
L’iter della norma sta proseguendo nelle varie Commissioni parlamentari. Nonostante lo stesso Comitato per la legislazione abbia osservato che l’art. 2 co. 4 “dovrebbe essere riformulato in termini di novella, anche tenuto conto che, in materia tributaria, a norma del combinato disposto dell’art. 1 co. 2 e art. 3 co. 1, dello Statuto del Contribuente non potrebbe comunque produrre effetti ex tunc (retroattivi)” e pertanto la disposizione dovrebbe essere riformulata in termini di “novella all’art. 160 del Codice delle Telecomunicazioni” (con conseguente perdita dell’efficacia retroattiva n.d.r.).
Non solo. L’intervento dell’Esecutivo “a gamba tesa” a pochi giorni dell’udienza dinnanzi alle Sezioni Unite con lo scopo dichiarato di chiudere il contenzioso a proprio favore, rappresenta un evidente vulnus dei più elementari principi costituzionali del giusto processo (art. 111 Cost.), dell’imparzialità della Pubblica Amministrazione (art. 97 cost.) e della Carta Europea dei Diritti dell’Uomo che prevede che ogni cittadino ha diritto che la “sua causa venga giudicata equamente”. Oltre alla violazione dello Statuto del Contribuente.
Come può essere equo un giudizio nel quale una delle parti, in questo caso lo Stato, decide scientemente di cambiare le regole del gioco a proprio vantaggio? Con lo scopo di condizionare pro domo sua il giudizio dell’organo giudicante?
Non rimane altro che attendere il giudizio delle Sezioni Unite….